
Ancora una volta, uno dei maggior difetti nel disegno dei trial clinici (la sottorappresentazione delle minoranze) torna a preoccupare.
Nonostante la Food and Drug Administration (FDA) nell’aprile del 2022 abbia raccomandato attraverso delle linee guida che gli studi clinici diano sempre conto delle diversità in seno alla popolazione, stavolta ad allarmare è il caso dei primi studi che sembrano segnare importanti passi in avanti nel campo della terapia dell’Alzheimer.
Di fatto, siamo ancora lontani dal superamento delle barriere che storicamente portano alla sottorappresentazione delle minoranze nelle sperimentazioni di un nuovo farmaco e, più in generale il superamento delle disuguaglianze nell’accesso alle cure è ancora un traguardo non a portata di mano.
Secondo un articolo pubblicato su Nature, le persone di colore e ispaniche hanno una probabilità fino a due volte maggiore a quella dei bianchi di sviluppare la Malattia di Alzheimer, ma hanno una probabilità molto più bassa di essere incluse negli studi clinici sui farmaci che lo contrastano (1). Le persone di colore rappresentano solo il 20% dei partecipanti nel trial clinici sugli anticorpi monoclonali lecanemab, approvato nel luglio 2023, e donanemab (meno del 10%).
Si è visto che il fatto di presentare bassi livelli di amiloide ha fatto sì che le persone di colore avessero da due a quattro volte meno probabilità rispetto ai caucasici di essere ammesse allo studio sulla possibile prevenzione della malattia con il lecanemab (2).
Queste numeriche così contenute preoccupano diversi ricercatori che si chiedono se questi farmaci – i primi a dimostrare miglioramenti nei risultati clinici per le persone affette da Alzheimer – funzioneranno anche per le persone di colore e se questi studi affrontano davvero a tutto tondo le cause della demenza, che potrebbero anche essere diverse a livello demografico. Secondo Gil Rabinovici (University of California, San Francisco), «non è accettabile che gli studi clinici siano così poco rappresentativi e occorre assolutamente reagire e provvedere».
I livelli di amiloide non sono l’unica ragione per cui le sperimentazioni sull’Alzheimer difettano di diversità razziale. Le persone di colore hanno meno probabilità dei bianchi di vivere vicino a ospedali dotati di scanner PET, utilizzati per determinare se un farmaco funziona, e le campagne di reclutamento degli studi si rivolgono tipicamente alle comunità bianche. Inoltre, le persone di colore presentano anche percentuali più alte di altri disturbi che le escludono dalle sperimentazioni, come le malattie cardiovascolari e il lupus.
Perciò, la prima fase dello studio di prevenzione dell’Alzheimer lanciato dalla Eisai esaminerà i potenziali partecipanti per i livelli di amiloide con un nuovo test ematologico, che dovrebbe aiutare a escludere le persone non idonee senza costringerle a sottoporsi a test cognitivi o a scansioni PET. Anche la Lilly sta aumentando le strategie di reclutamento nei suoi studi con donanemab, raddoppiando il numero di persone di colore che partecipano a uno studio sulla sicurezza che ha reclutato 1.000 persone e che si concluderà alla fine di quest’anno. Inoltre, anche in questo trial si sta passando dalle scansioni PET agli esami del sangue per verificare se donanemab può prevenire l’Alzheimer.
Bibliografia
1. Reardon S. Alzheimer’s drug trials plagued by lack of racial diversity. Nature; pubblicato il 2 agosto 2023.
2. Grill J, Molina-Henry DP, Sperling RA, et al. Diversity in Phase 2 and Phase 3 Placebo-Controlled, Double-Blind, Lecanemab and Elenbecestat Early Alzheimer’s Disease Studies. Alzheimer’s Dement., 18: e069198.