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Fondo per l’Alzheimer e le demenze. Nicola Vanacore: “Bloccarlo sarebbe deleterio”

Intervista a Nicola Vanacore By 12 Settembre 2023Settembre 13th, 2023No Comments
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Fondo Alzheimer demenze

In Italia ci sono 1,6 milioni di persone affette da demenza, di cui 600.000 con Malattia di Alzheimer. A queste vanno poi aggiunte, secondo le stime, circa 900.000 persone con decadimento cognitivo lieve. In termini di impatto economico si parla di una spesa complessiva annua compresa tra i 16 e i 18 miliardi di euro. Si tratta, in altre parole, di un problema di salute pubblico enorme. E se da un lato c’è un cauto ottimismo per l’arrivo di farmaci innovativi potenzialmente in grado di impattare sulla prognosi, dall’altro diventa sempre più evidente la necessità di mettere in atto interventi che considerino la demenza nella sua totalità e complessità.

Gli ambiti di intervento sono infatti molteplici, dalla prevenzione alla gestione degli aspetti socio-economici, dal monitoraggio epidemiologico allo sviluppo di sistemi informativi. Anche per questo alla fine del 2020 era stato istituito il Fondo per l’Alzheimer e le demenze con l’obiettivo di finanziare – per il triennio 2021-2023 – iniziative finalizzate all’attuazione del Piano Nazionale Demenze. Sebbene in questo periodo siano stati raggiunti obiettivi importanti, a oggi non è chiaro se e come il Fondo verrà rifinanziato o quale sarà l’impegno messo in campo dalle istituzioni politiche in questo settore. Ne abbiamo parlato con Nicola Vanacore, responsabile dell’Osservatorio Demenze dell’Istituto Superiore di Sanità.

In cosa consiste il Fondo per l’Alzheimer e le demenze?

È la più grande operazione di sanità pubblica mai condotta nel nostro Paese, di cui però c’è poca consapevolezza. Nella legge di bilancio del 2020 erano stati stanziati 5 milioni di euro all’anno per il 2021, il 2022 e il 2023, per un finanziamento totale di 15 milioni di euro. Di questi, 14,1 milioni di euro sono stati assegnati alle Regioni e 900.000 euro all’Osservatorio demenze dell’Istituto Superiore di Sanità. Le Regioni hanno avviato dei progetti riguardanti una o più delle cinque linee strategiche individuate: diagnosi precoce, diagnosi tempestiva, telemedicina, teleriabilitazione e trattamenti psico-educazionali, cognitivi e psicosociali. Quindi tutti quegli interventi che fino a qualche anno fa chiamavamo, erroneamente, non farmacologici.

Qual è il ruolo dell’Istituto Superiore di Sanità?

Ci sono diverse attività che stiamo conducendo in collaborazione con le Regioni. La prima riguarda la redazione di una linea guida sulla diagnosi e il trattamento delle demenze, che sarà disponibile per la fine dell’anno e che verrà inserita nel sistema nazionale delle linee guida. Si tratta di un documento molto utile in termini di sanità pubblica perché tratta le modalità diagnostiche ma anche tutto l’ambito farmacologico. Esiste ad esempio un problema di utilizzo off label dei farmaci antipsicotici. Una situazione che ci trasciniamo da più di vent’anni e che prima o poi dovrà essere affrontata dalle autorità regolatorie, dalle comunità scientifiche e dalle stesse aziende.

Altre attività che ci riguardano sono l’aggiornamento del Piano Nazionale Demenze del 2014, che verrà presentato entro la fine dell’anno, e il monitoraggio della quantità e della qualità dei PDTA per le demenze nel nostro Paese. Attualmente esistono PDTA per circa la metà della popolazione italiana ma spesso sono di qualità medio-bassa. Bisogna quindi aumentare la qualità di questi documenti, in quali sono fondamentali per l’organizzazione dei servizi in quanto definiscono ruoli e attività dall’inizio della malattia fino al fine vita.

Da un punto di vista di salute pubblica, qual è il modo migliore per affrontare il tema delle demenze?

Cerchiamo di guardare al problema nella sua complessità. Non possiamo prestare attenzione solo allo sviluppo di nuovi trattamenti, nell’attesa messianica di un farmaco che risolva tutti i problemi. Diamo molta importanza alla prevenzione, ad esempio. A oggi siamo a conoscenza di dodici fattori di rischio modificabili ed è stato calcolato che si potrebbe prevenire il 40% dei casi di demenza. Questo ci dice anche che gli strumenti che utilizziamo in ambito epidemiologico sono spesso rudimentali. Si è sempre stimato il numero di casi in base all’età mentre si possono usare anche i dati relativi a questi fattori di rischio. In Campania ad esempio, dove gli stili di vita sono meno virtuosi, la percentuale di demenze potenzialmente prevenibili arriva al 55%. Nella Provincia di Trento invece, dove gli stili di vita sono tendenzialmente più salutari, questa percentuale scende al 25-30%. Nei prossimi mesi forniremo questi dati a tutti i Dipartimenti di prevenzione delle Regioni per mettere in contatto chi si occupa di prevenzione e chi gestisce clinica e assistenza.

Altrettanto importante è il tema delle disuguaglianze. Dopo la pandemia, come Osservatorio abbiamo registrato una notevole differenza tra i 21 sistemi sanitari regionali nell’organizzazione dei servizi per le demenze. Una delle attività più importanti condotte nell’ambito del Fondo per l’Alzheimer e le demenze è stata la realizzazione, tra luglio 2022 e febbraio 2023, di una survey riguardante i 534 Centri per Disturbi Cognitivi e Demenze (CDCD) e i 162 distaccamenti territoriali presenti in Italia (1). È emerso, ad esempio, che l’80% dei CDCD italiani ha una singola sede e che il 20% è articolato in ambulatori sul territorio. Si tratta di dati importanti – andranno anche a guidare la scelta dei centri prescrittori dei nuovi farmaci – e da qualche settimana sono accessibili a tutti attraverso una mappa online aggiornata. Altre due survey sono in via di realizzazione, sulle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) e sui centri diurni.

Le attività finanziate dal Fondo per l’Alzheimer e le demenze andranno a concludersi a ottobre. Quali sono le prospettive per il futuro?

C’è un po’ di preoccupazione perché a oggi la politica non si è espressa sul futuro dell’iniziativa, non sappiamo se continuerà. Bloccare un processo del genere sarebbe però estremamente deleterio quindi ci auguriamo che il Fondo venga rifinanziato e con una somma più consistente. Di fronte a un impatto economico tra i 16 e i 18 miliardi di euro annui, tra costi diretti e indiretti, 15 milioni di euro per tre anni sono una cifra veramente una esigua. Basti pensare che il piano nazionale per le demenze francese è stato finanziato, per il periodo 2008-2012, con 1,6 miliardi di euro.

I pazienti con demenza sono stati tra quelli più colpiti dalla pandemia – in termini di mortalità, traiettoria di malattia, burden a carico di familiari e caregiver – ed è passato il messaggio che le persone con demenza sono un peso per la nostra società. La questione della demenza ci impone invece un’attenzione maggiore verso le popolazioni più fragili e una maggiore fiducia nella nostra capacità di affrontare fenomeni complessi. Si tratta inoltre di settori in cui si stanno sviluppando notevoli pulsioni di tipo commerciale, quindi è importante tenere alto l’interesse del Servizio Sanitario Nazionale pubblico che, come sappiamo, vive un momento di forte crisi. Banalmente, dobbiamo ricordarci che in Italia vige ancora l’Articolo 32 della Costituzione. Il tema della demenza è paradigmatico di quanto lavoro ci sia ancora da fare.

Intervista a cura di Fabio Ambrosino

Bibliografia

1. Bacigalupo I, Giaquinto F, Salvi E, et al. A new national survey of centers for cognitive disorders and dementias in Italy. Neurol Sci 2023; doi: 10.1007/s10072-023-06958-8.