
Nel costante sforzo di prevenire, migliorare la diagnosi e la terapia della malattia di Alzheimer e di altri tipi di demenza, la ricerca neurologica sta guardando sempre più nella direzione dell’intelligenza artificiale.
Per sottolineare l’importanza di quest’ambito di ricerca, Alzheimer & Dementia, la rivista dell’Alzheimer Association, negli ultimi numeri ha pubblicato otto revisioni della letteratura scientifica scritte da gruppi internazionali coordinati dal Deep Dementia Phenotyping (DEMON) Network che fanno un’ampia esamina sull’applicazione dell’intelligenza artificiale nella ricerca sulla demenza. La più recente si concentra su come l’intelligenza artificiale possa essere sfruttata nella prevenzione della malattia (1).
“Sono numerosi i fattori legati alla salute, allo stile di vita e all’ambiente che aumentano il rischio di sviluppare una demenza. Molti di questi sono modificabili ma richiedono interventi non solo sul singolo paziente ma anche sociali che dovrebbero essere messi in atto molti anni o addirittura decenni prima dell’insorgenza della malattia, vista la sua lunga fase prodromica” spiega Stefano Tamburin, professore associato di neurologia dell’Università di Verona che figura tra gli autori della revisione.
I cambiamenti in senso patologico iniziano, infatti, diversi anni prima dell’insorgenza dei sintomi clinici della malattia di Alzheimer o di altre forme di demenza. Questo tempo costituisce una finestra utile nella quale è possibile fare diagnosi precoce e prevenzione.
“A causa dei limiti della statistica tradizionale, però, abbiamo poche evidenze che l’intervento su uno o più fattori di rischio sia connesso a una reale riduzione del rischio dell’insorgenza della malattia. In questo frangente, l’intelligenza artificiale, grazie alle metodiche di machine learning e alle straordinarie capacità di analisi dei big data, può venire in aiuto al neurologo per individuare i pazienti a elevato rischio di sviluppare la malattia sui quali un intervento preventivo può fare la differenza riducendo al contempo i costi sanitari” continua Tamburin.
La capacità delle metodiche di machine learning di analizzare i cosiddetti big data ricavati dall’imaging, dall’analisi dei biomarker, dalla genetica, dalle cartelle cliniche e dai dispositivi digitali indossabili, a differenza di quanto avviene con gli approcci statistici tradizionali, permette di individuare pattern e di generare conoscenze approfondite velocemente e con un minimo intervento umano.
Modelli di predizione del rischio
Creare modelli di predizione del rischio di sviluppare la demenza è essenziale per migliorare la scelta del neurologo di mettere in atto, con le tempistiche adeguate, strategie di prevenzione farmacologiche e non farmacologiche.
Sono stati studiati numerosi modelli di questo tipo come il CAIDE (Cardiovascular Risk Factors, Ageing and Dementia) sviluppato utilizzando la regressione logistica per predire il rischio di demenza a 20 anni. In recenti studi sono stati applicati diversi algoritmi di intelligenza artificiale per predire, con maggiore accuratezza rispetto al CAIDE, il rischio di insorgenza di demenza con una prospettiva però molto più breve, di 2 anni, e il rischio di degenerazione di un disturbo cognitivo lieve (MCI — Mild Cognitive Imparement) nella malattia di Alzheimer (2,3).
Nonostante il machine learning stia dando risultati promettenti, però, siamo ancora lontani dall’avere modelli che abbiano un’elevata capacità predittiva che si possano applicare nella quotidiana pratica clinica.
Per rispondere a questa esigenza è necessario un’ulteriore comprensione dei meccanismi d’azione dei fattori di rischio sull’organismo e il loro rapporto di causalità con lo sviluppo e il decorso della malattia. Comprensione che sta avendo risultati sempre migliori grazie anche al veloce sviluppo della tecnologia e dei nuovi algoritmi.
Dove ci porterà il machine learning
Una migliore comprensione biologica dell’insorgenza e del decorso della malattia di Alzheimer e di altri tipi di demenza porterà a importanti opportunità di applicare l’intelligenza artificiale alla ricerca di nuove ed efficaci strategie preventive e terapeutiche.
Lo sviluppo di interventi di prevenzione personalizzati, il drug-repurposing e la capacità di predizione della risposta al trattamento sono i campi sui quali la ricerca si sta maggiormente concentrando.
Il machine learning potrebbe essere utilizzato per raccogliere un’ampia gamma di dati del singolo paziente per predire la traiettoria della malattia e sviluppare algoritmi che permettano di creare piani di prevenzione personalizzati.
Tra questi dati saranno inclusi non solo quelli medici raccolti durante il percorso di cura ma anche quelli antecedenti allo sviluppo dei primi sintomi e addirittura quelli riguardanti la variazione dell’eloquio grazie, per esempio, all’analisi degli audio inviati nelle app di messaggistica, o dell’andatura, raccolti per mezzo di dispositivi digitali indossabili.
I metodi di machine learning, inoltre, possono essere potenti strumenti per identificare quali farmaci già in uso per altre patologie potrebbero essere sfruttati anche nel trattamento della demenza, per la quale attualmente esistono pochi farmaci in grado di influire efficacemente sul decorso della malattia.
Ancora più importante sarà la possibilità di predire la risposta alla terapia di un paziente basandosi sulle sue caratteristiche individuali. Progetti già in corso come lo studio PETRUSHKA hanno lo scopo di creare un sistema di supporto al clinico che, per mezzo dell’analisi delle caratteristiche specifiche del paziente e la simulazione sulla sua risposta a diverse tipologie di farmaci, sarà in grado di fornire una sorta di classifica dei migliori trattamenti da adottare in quel singolo paziente per massimizzare l’efficacia e ridurre gli eventi avversi (4).
I limiti del machine learning per la prevenzione della demenza
“Oltre ai limiti tecnici delle diverse metodiche che potranno essere superati con il miglioramento delle tecnologie, ci sono anche difficoltà pratiche da sottolineare: una riguarda la difficoltà di raccogliere dati riguardanti la demenza su alcune minoranze nelle quali la malattia si sviluppa più precocemente. Avere pochi dati significa non poter sfruttare al meglio l’intelligenza artificiale riducendo di fatto la sua utilità nell’individuare e trattare alcuni di quei gruppi di pazienti che ne avrebbero più bisogno. Inoltre, la diffidenza dei clinici nei confronti di tecnologie così recenti e la formazione medica che non si rinnova di pari passo con l’innovazione potrebbero frenare l’adozione di alcuni strumenti innovativi basati sull’intelligenza artificiale nella pratica clinica quotidiana” conclude Tamburin.
Bibliografia
1. Newby, D, Orgeta, V, Marshall, CR, et al. Artificial intelligence for dementia prevention. Alzheimer’s Dement 2023; 1-18. https://doi.org/10.1002/alz.13463.
2. James C, Ranson JM, Everson R, Llewellyn DJ. Performance of machine learning algorithms for predicting progression to dementia in memory clinic patients. JAMA Netw Open 2021; 4: e2136553-e2136553. doi:10.1001/JAMANETWORKOPEN.2021.36553.
3. Wu Y, Jia M, Xiang C, et al. Predicting the long-term cognitive trajectories using machine learning approaches: a Chinese nationwide longitudinal database. Psychiatry Res 2022; 310:114434. doi:10.1016/J.PSYCHRES.2022.114434.
4. Tomlinson A, Furukawa TA, Efthimiou O, et al. Personalise antidepressant treatment for unipolar depression combining individual choices, risks and big data (PETRUSHKA): rationale and protocol. Evid Based Ment Health 2020; 23: 52-56. doi:10.1136/EBMENTAL-2019-300118.