
In attesa di sapere se l’European Medicines Agency accoglierà le richieste di approvazione degli anticorpi monoclonali lecanemab e donanemab, nel corso del 53esimo congresso nazionale della Società Italiana di Neurologia – tenutosi a Napoli dal 21 al 24 ottobre 2023 – è stato fatto il punto sulle novità in termini di prevenzione, diagnosi e cura della Malattia di Alzheimer.
“Si tratta di farmaci che, anche se approvati, non saranno indicati per la maggior parte dei pazienti”, ha commentato Alessandro Padovani, direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Brescia e presidente eletto della Società Italiana di Neurologia.
“Noi speriamo che nei prossimi mesi e anni arrivino altri farmaci con indicazioni più ampie. Questi non interesseranno più del 20% dei pazienti che svilupperanno un decadimento cognitivo dovuto a Malattia di Alzheimer. Quindi siamo contenti ma non saranno questi i farmaci che risolveranno il problema di questa patologia”.
Sono sempre di più, invece, le evidenze riguardanti i fattori il cui controllo potrebbe ridurre il rischio di sviluppare questa condizione. Oltre a elementi come la scolarità, l’isolamento sociale, l’attività fisica, la dieta, l’inquinamento ambientale, è ormai chiaro che anche alcuni fattori di rischio cardiovascolare, i disturbi del sonno e la depressione possono modificare la probabilità di sviluppare una demenza di Alzheimer.
“La prevenzione, primaria e secondaria, è un dovere”, ha aggiunto Padovani. “Abbiamo necessità di insegnare alla popolazione l’importanza dell’attività fisica, dell’alimentazione e della stimolazione cognitiva, ma anche delle relazioni. I cambiamenti climatici imporranno una diversa gestione della popolazione anziana, così come il contrasto alle malattie vascolari. Diventano fondamentali condizioni quali il diabete e l’ipertensione”.
Alla luce delle possibili nuove prospettive terapeutiche, poi, diventa centrale il tema della diagnosi precoce. Presto saranno disponibili marcatori plasmatici che, insieme all’utilizzo della genomica e metabolomica, potranno definire il profilo di rischio della malattia e permetteranno di selezionare i soggetti da inviare ad altre indagini più invasive e costose come l’esame del liquor e la PET amiloide per una diagnosi certa.
“La presenza della proteina tau 217, ad esempio, permette di documentare i pazienti a rischio di un’eventuale malattia di Alzheimer. Ovviamente non si tratta di un marcatore della diagnosi di Alzheimer, è comunque necessaria una conferma attraverso un esame PET o una risonanza magnetica. Tuttavia, questo marcatore sembra intercettare il nostro bisogno di arrivare ad un’individuazione precoce dei pazienti”.