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Microbiota intestinale e diagnosi di Alzheimer preclinico: nuove evidenze

A cura di Fausta Rotondo By 17 Luglio 2023No Comments
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Microbiota Alzheimer

Negli ultimi anni quello che era solo un sospetto, ovvero un possibile ruolo del microbiota intestinale nello sviluppo della Malattia di Alzheimer, è stato riscontrato da diversi studi che hanno mostrato una correlazione tra uno squilibrio del microbiota intestinale e la presenza di placche amiloidi nel cervello, aprendo la strada a possibili nuove strategie diagnostiche e preventive.

I batteri intestinali possono agire sul funzionamento del cervello e determinare una neurodegenerazione, influenzando la regolazione del sistema immunitario e modificando l’interazione tra questo e il sistema nervoso. Lipopolisaccaridi sono stati individuati nelle placche amiloidi e intorno ai vasi nel cervello di persone con Malattia di Alzheimer (1) mentre alcuni acidi grassi a catena corta sono stati associati alla presenza di placche amiloidi e p-tau nel liquido cefalorachidiano (2).

È stato quindi ipotizzato che l’analisi combinata di beta amiloide plasmatico e microbiota intestinale potrebbe servire come biomarcatore diagnostico non invasivo ed economico per lo screening precoce della patologia neurodegenerativa, fino a far ritenere che lo sviluppo di farmaci che abbiano come target il microbiota intestinale potrebbe costituire una nuova strategia terapeutica per la Malattia di Alzheimer (3).

Negli anni sono state analizzate le varie specie batteriche riscontrate nei campioni fecali dei pazienti e si è notato che queste cambiano anche in base allo stato di avanzamento della malattia (2,4). I maggiori cambiamenti del microbiota sono stati osservati però nella cosiddetta fase preclinica, rendendoli particolarmente interessanti e potenzialmente utili (4). Si ritiene infatti che incrementare gli strumenti diagnostici utilizzabili quando è possibile osservare un accumulo anomalo di proteine beta amiloide e tau nel cervello, in assenza di segni clinici della malattia, potrebbe modificare il decorso della malattia stessa.

A riguardo, i ricercatori della Washington University di St. Louis hanno condotto uno studio, pubblicato su Science Translational Medicine, che ha coinvolto 164 persone anziane con funzioni cognitive nella norma ed età compresa tra 68 e 94 anni, le quali sono state testate per la presenza di beta amiloide e tau nel loro cervello (4). Sono stati trovati 49 pazienti con accumulo di queste proteine, definiti pertanto “in Alzheimer preclinico”. I ricercatori hanno quindi confrontato i batteri intestinali riscontrati nei campioni fecali del gruppo dei partecipanti con Alzheimer preclinico con quelli del gruppo dei partecipanti sani per trovare eventuali differenze tra i loro microbiomi.

I pazienti nelle fasi precliniche dell’Alzheimer tendevano ad avere popolazioni più elevate di batteri responsabili della scomposizione dell’arginina e dell’ornitina, due aminoacidi coinvolti nell’accumulo di proteine, mentre i pazienti sani tendevano ad avere più batteri coinvolti nella degradazione del glutammato, che può proteggere i neuroni.

Per testare quanto potenti o utili possano essere questi cambiamenti nel microbiota intestinale per rilevare l’Alzheimer preclinico, il team ha aggiunto queste informazioni ai modelli basati sui fattori di rischio preesistenti come storia familiare della malattia, età, diabete, PET imaging e dati genetici. I risultati hanno dimostrato che le caratteristiche del microbiota aumentano in modo statisticamente significativo la specificità e la sensibilità degli algoritmi di predizione dello stato preclinico della malattia. Il programma dello studio prevede ora di continuare a seguire i partecipanti con malattia preclinica, analizzando i loro campioni di feci ogni due anni circa per tenere traccia dei cambiamenti nel loro microbiota insieme a qualsiasi progressione dei sintomi dell’Alzheimer.

Il prossimo passo per confermare questi risultati è prelevare campioni fecali contenenti batteri da persone senza beta amiloide o tau nel cervello e trapiantarli in animali che presentano questi accumuli proteici per vedere quanto il microbiota può influire sulla progressione della malattia.

Considerando che non tutti i pazienti con Alzheimer preclinico sviluppano poi la malattia stessa, e che i fattori da considerare sono tanti e diversificati, aggiungere l’analisi del microbiota intestinale nel processo diagnostico potrebbe aiutare nella definizione del quadro patologico del paziente con questa malattia. Inoltre, rappresenterebbe un modo di fare screening poco costoso e quindi accessibile a un maggior numero di persone.

In ottica di screening, tuttavia, questo eventuale impiego delle informazioni riguardanti il microbiota andrà poi valutato in termini di efficacia e sicurezza, per evitare eventuali problemi di sovradiagnosi e cascate di cura. Allo stesso tempo, riconoscere tempestivamente la Malattia di Alzheimer e intervenire precocemente con trattamenti appropriati potrebbe permettere di rallentare la progressione della malattia e far guadagnare ai pazienti mesi, e persino anni, caratterizzati da uno stato cognitivamente funzionale che permetta loro di rimanere indipendenti e svolgere i compiti della vita quotidiana.

Bibliografia

1. Marizzoni M., Cattaneo A., Mirabelli P. et al. Short-Chain Fatty Acids and Lipopolysaccharide as Mediators Between Gut Dysbiosis and Amyloid Pathology in Alzheimer’s Disease. J Alzheimers Dis 2020; 78(2): 683-697.
2. Verhaar BJH, Hendriksen HMA, de Leeuw FA, et al. Gut Microbiota Composition Is Related to AD Pathology. Front Immunol 2022; 12:794519.
3. Sheng C, Yang K, He B, et al. Combination of gut microbiota and plasma amyloid-β as a potential index for identifying preclinical Alzheimer’s disease: a cross-sectional analysis from the SILCODE study. Alzheimer’s Res Ther 2022;14:35.
4. Ferreiro AL, Choi J, Ryou J, et al. Gut microbiome composition may be an indicator of preclinical Alzheimer’s disease. Sci Trans Med 2023; Vol 15, Issue 700.